Questo fu uno degli slogan che dopo l’evento della nota nube tossica del 1976 dell’ICMESA di Meda, voleva contrastare le strumentali e allarmistiche notizie che all’epoca i mezzi di informazione contribuirono a diffondere.
Duole notare come anche in questi giorni avvenga lo stesso, con la differenza che a pagarne le conseguenze, non sono solo gli abitanti delle zone rosse, ma tutti gli italiani.
Oggi come allora, nel 1976, gli abitanti delle zone “inquinate”, delimitate, anche senza criteri scientifici, per mostrare che si stava operando per tutelare la salute degli abitanti, furono denigrati e trattati come degli appestati; a rimetterci fu una piccola comunità anche se laboriosa, ma con un impatto nazionale minimo.
Oggi stiamo assistendo alla medesima situazione a livello nazionale: non si contano le notizie che giungono da tutto il mondo di “caccia all’italiano” (soprattutto se proveniente dalla ”zona rossa”) come pericolo numero uno, perché causa di diffusione del virus (quanti sono i paesi che danno la colpa ad un viaggio in Italia, se il virus si è diffuso anche da loro?…….), o comunque è quello che i mass media ci dicono.
All’epoca ci fu una risposta “ideale” e di popolo che aveva un marcato “senso di appartenenza”, guidata dai suoi amministratori, sacerdoti e vescovi: non si sarebbero “forse” mai piegati così facilmente al divieto di celebrare l’Eucaristia, mentre la nostra poca Fede non è abbastanza fondata per confidare in un intervento divino?
Roberto
Seveso MB