Noi italiani siamo creativi anche nell’interpretare ed applicare le ordinanze.
Mi hanno raccontato che in alcuni uffici dell’amministrazione pubblica prevale il principio del tempo.
In pratica, se vieni a sapere che chi lavora al tuo fianco ha scoperto di essere positivo, devi continuare a lavorare se non hai parlato con lui/lei più di venti minuti.
In un’altra azienda invece, vige il concetto dello spazio. Per stare tranquilli si è deciso di rimanere nei 6 metri di distanza dalla postazione di lavoro incriminata. Una misura più che ragionevole, se fossimo dei vegetali o dei polli in batteria. A tal proposito, mi sovviene la foto vista su un quotidiano, di alcuni lavoratori a Wuhan. Nella pausa pranzo restano tutti seduti sui loro sgabelli ai vertici di quadrati segnati per terra, con il pavimento segmentato come una scacchiera, e consumano il loro pasto rigorosamente ad un metro dal vicino. Posto che siamo italiani, un tantino più vivaci dei cinesi, la regola dei sei metri troverebbe la propria ratio se fossimo catapultati sul posto di lavoro e poi aspirati dai bocchettoni dell’aria condizionata. E poi mi domando ancora, ma lo sfortunato collega contagiato, durante la giornata di lavoro non sarà mai andato in bagno? Forse ora, passando il badge ai tornelli, oltre all’igienizzante per le mani viene fornito a ciascun lavoratore anche un pappagallo?
Me li immagino, gli addetti del servizio tecnico, con il loro scafandro da palombaro e il metro a bindella a tracciare l’area di un ipotetico cerchio con un raggio di 6 metri. Lei si, lei si, lei no, lei invece Signor Stefano, col braccio destro è a 5,9 metri, le dispiacerebbe lavorare per due o tre mesi col mouse a sinistra?
Così siamo in regola con i parametri aziendali e al riparo anche da presunti fuorigioco con il VAR.
Oggi in onda sulla BBC:
h 17.00 – Il Te nel deserto
h 19.30 – Boris
h 21.00 – Il paziente inglese
Marco Milani